Le partiture sono utilizzabili a soli fini didattici o di ricerca scientifica e senza scopo di lucro.
(art. 70, c. 1, L. 22 aprile 1941, n. 633, introdotto dalla L. 9 gennaio 2008, n.2, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.21 del 25 gennaio 2008)

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domenica 29 aprile 2007

Il tamburino


(Nigra 73)
La canzone del Tamburino è egualmente sparsa nell'alta Italia, in Francia e in Catalogna. Nell'alta Italia ne furono già pubblicate quattro lezioni, una veneta da Widter e Wolf, a vero dire molto im­perfetta una veneziana dal Bernoni 2, e due monferrine dal Ferraro, senza contare quella pubblicata dal Nerucci, giacché la can­zone penetrò anche in Toscana . Nelle lezioni monferrine del Ferraro è intercalato un passo non genuino, ed è quello dove il re domanda al tamburino che mestiere fa, ed egli risponde : — Mura­tore. — E il re : — Fammi una stanza, ma senza mattoni e senza calcina. — Il tamburino risponde : — Che mestiere fa vostra figlia? — Fa abiti, dice il re. — Allora, ripiglia il tamburino, me ne faccia senza filo e senza ago. — Tutto questo passo non ha che fare colla canzone del Tamburino, e appartiene a un'altra canzone, che nella presente raccolta ha per titolo : Che mestiere è il vostro?
In Francia, sua patria probabile, la canzone è nota per numerose lezioni, delle quali indico qui quelle che sono a mia notizia : un frammento pubblicato da Gérard de Nerval, una lezione della Sciam­pagna da Tarbé, una del paese di Metz da Puymaigre, una nor­manna da Benoist, una bressana da Guillon, una franco-brettone da Sébillot e Tiersot, e ben sedici lezioni, di differenti luoghi della Francia da E. Rolland 3.Come al solito, c'è il riflesso catalano, in quattro lezioni pubbli­cate dal Mila, una in testo completo e tre in varianti 4, e in una pub­blicata dal Briz, con varianti 5. In alcune lezioni piemontesi il tamburino è cambiato in sarto, e il tamburo e le bacchette sono trasformate nel ferro da stirare e nelle cesoie. Così in alcune francesi, invece del tambour si ha un fendeur .
Da "Canti popolari del Piemonte" - Costantino Nigra - Einaudi
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Nelle lezioni dell’Italia settentrionale, al tempo della prima guerra mondiale i tre tamburini sono stati mutati in tre alpini.
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Partiture:
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Una versione francese
arm. Andrea Mascagni
TTBB
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Una versione toscana
arm. Claudio Malcapi
TTBB
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e due versioni con gli alpini al posto dei tamburini
arm. Luciano Casanova Fuga
TTBB
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arm. Luciano Casanova Fuga
SCTB
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arm. Gianni Malatesta
TTBB
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El tamburo
arm. Andrea Mascagni
TTBB
(by Coro Valsella - Borgo Valsugana)
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sabato 28 aprile 2007

La barbiera francese

(Nigra 33)
"La canzone della Barbiera è venuta in Piemonte dalla Francia. Le lezioni francesi a me note sono quelle della Franca Contea, pubbli­cate da Max Buchon e da Beauquier, quelle del Velay, pubblicate da V. Smith, e le bressane da Guillon . In queste lezioni il galante dice alla bella barbiera che ha cambiato di colore per i di lei begli occhi, o per l'amore che ha per lei, o per i di lei amori; ed essa gli ri­sponde che i suoi amori e il suo cuore non sono per lui, ma per un altro e che viaggiano notte e giorno sulla Senna, o sul mare. In una bressana, l'amante preferito è il figlio del re d'Inghilterra. Questo finale, nelle lezioni piemontesi, è sostituito da uno ben diverso che sembra tolto da altra canzone e che apparentemente non ha nulla che fare con ciò che precede. « Quali sono i vostri amori? » Cosí il finale della canzone piemontese. — La barbiera risponde che sono il re di Francia e l'imperatore, ma che sceglie il re di Francia. Io so­spetto che questo finale sia stato appiccicato alla lezione piemontese quando la canzone, venuta di Francia, sarebbe stata applicata a Maria Cristina, figlia di Enrico IV e di Maria dei Medici, detta Madama Reale, duchessa reggente di Savoia, nel tempestoso periodo del suo governo in Piemonte durante la minorità di Carlo Ema­nuele II. La canzone sarebbe cosí divenuta di qua dall'Alpi un'allu­sione satirica alle sollecitazioni d'alleanza di Francia dall'un lato e d'Austria dall'altro lato, contro le quali ebbe lungamente e penosa­mente a dibattersi la duchessa reggente. La preferenza francese, mentovata nel canto, accennerebbe, in tale ipotesi, alla risoluzione presa dalla duchessa di conchiudere colla Francia il trattato d'al­leanza del 1638 (3 giugno), contro l'Austria. Questa supposizione poggia, a vero dire, su fragile base. Basti pertanto l'averla accennata.Vi è pure una canzone catalana che, nella prima parte, è press'a poco identica colla francese e colla piemontese, ed è quella pubblicata da Milà col titolo La barbera di Francia'. Anche in questa il finale è diverso da quello delle altre. Alla barbiera che gli domanda perché abbia cambiato colore, il galante risponde che è la di lei bellezza che gli ha trafitto il cuore. Chiede del marito. La donna risponde chi: è andato a pescare con tutti i suoi servitori. A mezzanotte il marito arriva, il galante lo pugnala. Il mattino questi è legato e condotto in carcere. Non m'arrischio a dire se questo finale appartenga alla can­zone fin dall'origine, e se la lezione catalana debba ritenersi come piú compiuta e piú genuina delle francesi.Ma qui non finiscono i destini di questa canzone. Essa fu pure saldata colla canzone Il ritorno del soldato in una lezione di Sale­Castelnuovo (Ivrea), in una di Valfenera (Asti), e probabilmente in altre non ancora pubblicate. La saldatura comincia dopo che il galante ha detto che ha cambiato colore vedendo le mani cosí bianche della barbiera. Questa si mette a piangere e dice che piange del ma­rito assente, con quel che segue, come nella canzone del Ritorno del soldato."
Da "Canti popolari del Piemonte" - Costantino Nigra - Einaudi
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Partiture:
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arm. S. Cavallo
TTBB
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La barbiera
arm. Stefano Bonnini
TTBB
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La barbiera
arm. Giovanni Uvire
TTBB
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La barbiera degli alpini
arm. Monte Cauriol
TTBB
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Una versione toscana
arm. Claudio Malcapi
TTBB
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Una emiliana
arm. Giorgio Vacchi
TTBB
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la stessa per coro misto
arm. Giorgio Vacchi
SCTB
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mercoledì 25 aprile 2007

Composizioni d'autore

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Partiture:
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versi di A. De Gani
musica di Virgilio Aru
CTTB
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Le elaborazioni che seguono sono state messe a disposizione dagli stessi autori
versi di Luigi Poletti
musica di Ivano Poli
TTBB
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parole e musica
Alessandro Buggiani
TTBB
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versi di Livio Tissot
musica di Alessandro Buggiani
TTBB
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parole e musica
Alessandro Buggiani
TTBB
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versi di Montanaru
musica di Mariano Garau
TTBB
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versi di Montanaru
musica di Mariano Garau
SCTB
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versi di Montanaru
musica di Mariano Garau
CTB
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versi di Silvio Tessi
musica di Mariano Garau
SCTB
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Sacra

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Nella bacheca ovviamente c'è posto anche per la musica sacra.
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Partiture:
Don Lorenzo Perosi
SCTB
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Arturo Clementoni
CTB
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Don Giuseppe Cioni
SCTB
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Eran quattro piemontesi

Anche se, visto che si parla di piemontesi e di Cremona, è facile intuire l'area di maggior uso del canto, notevole è però la diffusione nell'Emilia, specie nella zona appenninica tra le province di Bologna e Reggio Emilia.
Abbastanza uniformi le lezioni note, sia come testo che come linea melodica.
Giorgio Vacchi
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Partiture:
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una emiliana per coro maschile
arm. P.G.Bonezzi
TTBB
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ancora emiliana a voci virili
arm. Giorgio Vacchi
TTBB
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e la stessa lezione per coro misto
arm. Giorgio Vacchi
SCTB
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Canticum Novum

Se qualcuno fosse interessato a questo tipo di vecchie pubblicazioni liturgiche, me lo faccia sapere...ne ho delle altre da postare.
Dentro c'è un po' di tutto, dai mottetti a 4 voci ai piccoli pezzi per organo.
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martedì 24 aprile 2007

Trilogia della zingarella Alice

Parole e Musica del M° Mario Marelli

Una Culla per Alice
Questa canzone fa parte di una trilogia sull'emarginazione sociale (Una culla per Alice, Una stella per Alice, Una tomba per Alice).
Alice è una piccola zingara e come tale nasce povera ed emarginata; il pianto d'una "Madonna" richiama in "parallelo" la nascita altrettanto povera ma mitizzata e sublimata di un altro emarginato; anche qui non c'è culla e non c'è neppure la leggendaria stella, ma la povertà e la solitudine di una strada rischiarata dalla luna; il coro degli angeli, qui rappresentato dalle schiere infinite dei poveri, non canta "Gloria" o "Alleluja", ma consola Alice per un futuro che, anche gli occhi vissuti della mamma, vedono ricco non di balocchi ma di pioggia e vento.
Aldilà di temi e di armonie sentimentali, occorre ripensare agli zingari come ad un simbolo di macroscopica emarginazione socio-culturale, con in più una punta di razzismo rispetto all'altrettanto storica emarginazione delle masse popolari da parte della cultura egemone.
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Partitura:
di Mario Marelli
TTBB
(Un tono sopra e si può cantare con SCTB)
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Una Stella per Alice
Nel corso affollato della città la piccola zingara si destreggia a leggere la mano ai passanti, individuando per tutti un futuro felice, protetto da una stella; Alice sa di appartenere ad una razza diversa, emarginata: infatti il tradizionale mestiere di "astrologa" viene tradotto con l'appellativo di "stroliga", che in dialetto è sinonimo di "zingara", ma con significato solo dispregiativo. Dunque per tutti una buona stella, ma per Alice no: il calore del suo cavallo, che esprime una grande intesa fra la natura e la sua gente, la consolerà per questa emarginazione.
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Partitura:
di Mario Marelli
TTBB
(Un tono sopra e si può cantare con SCTB)
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Una Tomba per Alice
Il contenuto musicale e quello umano-poetico fanno di questo canto un inno epico per la sfortunata Alice. Agli occhi distratti o addirittura sprezzanti della gente, Alice è la piccola zingara che viene scacciata di porta in porta e al termine della sua avventura su questa terra implora almeno una tomba nel fondo della valle, dove riposare e raccontare al vento la sua triste esperienza di incompresa e segregata. Vi è da notare una felice compenetrazione fra testo e musica: sulla melodia gitana condotta dai soprani, l'accompagnamento del basso rievoca il ritmo della carovana zingaresca; la frase centrale, sincopata, rievoca fantasticamente il persistente incalzare dei cavalli tesi verso la realizzazione del sogno di Alice; l'accordo finale che dalla tonalità minore si risolve in quella maggiore, infonde un senso di quiete e di pace serena e maestosa: Alice ha infatti concluso la sua avventura e nella terra di nessuno, “... nel gran silenzio della valle, accanto al vento dormirà!”
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Partitura:
di Mario Marelli
TTBB
(Un tono sopra e si può cantare con SCTB)
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lunedì 23 aprile 2007

L'uccellino del bosco

(Nigra 95)
L'argomento di questa breve canzone, come pure il suo modo di procedere per domande e risposte, sono della piú schietta indole popolare. L'uccellino del bosco, a cui la musa popolare confida cosí sovente i suoi secreti, prende il volo e va a posarsi sulla finestra della bella. Che cosa le porta? Una lettera. E la lettera che cosa dice? Dice che si mariti. Ma la donna risponde che si è maritata ieri e che oggi già se ne pente. Compara la sua vita presente alla passata, e conchiude con un'acclamazione alla libertà.
La canzone è sparsa in tutta l'alta Italia. Una lezione d'Oleggio (dialetto lombardo) fu raccolta da Domenico Buffa e pubblicata da Oreste Marcoaldi nel 1855, poi una veneta fu raccolta da G. Widter e pubblicata da Adolfo Wolf, una veneziana fu pubblicata da Giu­seppe Bernoni, una monferrina e una emiliana da Giuseppe Fer­raro In tutte vi è identità sostanziale e spesso formale.
Da "Canti popolari del Piemonte" - Costantino Nigra - Einaudi
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Partiture:
sette armonizzazioni tutte per coro a voci virili
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una veneta
arm. Loris tiozzo
TTBB
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una trentina
arm. Paolo Bon
TTBB
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una emiliana
arm. Giorgio Vacchi
TTBB
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un'altra veneta
arm. Giorgio Vacchi
TTBB
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un'altra trentina
arm. Luigi Pigarelli
TTBB
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ancora Veneto
arm. Gianni Malatesta
TTBB
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Piemonte
Quel uselin del bosch
arm. Gianni Malatesta
TTBB
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sabato 21 aprile 2007

Emigranti...


...I canoni fondamentali dei canti di emigrazione prescindono, in realtà, dalla specificità dell’argomento. Nel senso che esistono canoni generali: sono canti di lavoro, canzoni d’amore e canti che esprimono fondamentalmente la nostalgia...
...sul finire dell’Ottocento, la corsa all’America. Un immenso territorio al di là dell’Oceano, tutto da "riscoprire", e che può offrire grandi opportunità. La "Merica" diventa anche l’ancora di salvezza per gente che in Italia non vede futuro...
Prof. Emilio Franzina
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Partiture:
Ecco un po' di materiale

arm. Renato Dionisi
TTBB
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E' partita una nave
arm. Giorgio Vacchi
TTBB

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arm. Paolo Bon
TTBB
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Io parto per l'America
arm. Giorgio Vacchi
TTBB
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la stessa versione per coro a voci miste
arm. Giorgio Vacchi
SCTB
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arm. Antonio Zanon
TTBB
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arm. Gianni Malatesta
TTBB
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arm. Nunzio Montanari
TTBB
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arm. Teo Usuelli
TTBB
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una per coro femminile
arm. Stefano Da Ros
SSMC
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arm. Giorgio Vacchi
TTBB
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arm. Luigi Pigarelli
TTB
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venerdì 6 aprile 2007

La pesca dell'anello

(Nigra 66)
“La pesca dell'anello caduto in acqua (per lo piú nel mare) dalla mano d'una ragazza, è un tema che ha dato luogo, in Italia e fuori, a molti canti d'indole diversa. La congerie considerevole di questi canti si lascia però dividere in due serie distinte, cioè, la serie lieta delle barcarole italiane, e la serie dolente delle canzoni francesi.
Nella prima serie il tema si svolge molto semplicemente. Una ra­gazza lascia cadere l'anello nell'onda. Chiede a un pescatore di pescarglielo. Il pescatore consente, ma vuole essere pagato. La ragazza offre denaro e la borsa ricamata. Il pescatore rifiuta denaro e borsa, e domanda come mercede, un bacio. Secondo le varie lezioni, il bacio è accordato subito, o soltanto dopo risposta a varie obbiezioni, o è ri­fiutato, ovvero non si sa se sia accordato o rifiutato. In alcune lezioni sopraggiunge il padre o la madre che manda la figliuola a casa, ove l'attende una correzione. In altre il pescatore promette, fra varie cose, la vesta meravigliosa di trentatre colori, che figura piú a proposito nella canzone dei Falciatori. È questa una saldatura fuor di luogo, come quella del finale della Tomba della Rosettina che si trova appic­cicato in fondo alla lezione istriana pubblicata da Ive.Nella serie francese la ragazza lascia cadere nell'acqua l'anello, o le chiavi d'oro, o altro; ma ordinariamente, quando perde o s'ac­corge d'aver perduto l'oggetto, è già salita sopra una barca dietro invito dei marinari. Chiede che le sia pescato, diremo l'anello, perché è l'oggetto piú frequentemente designato. Il piú giovane dei marinai, il galante, si getta nell'acqua. Piomba una e due o tre volte; tocca l'anello, ma si annega. Compianto della madre, o del padre dell'an­negato, e della bella.”
Da "Canti popolari del Piemonte" - Costantino Nigra - Einaudi
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Partiture:
non sono riuscito a trovare nemmeno una elaborazione per coro a voci miste.
se qualcuno me la mandasse...
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una laziale
arm. Luigi Pigarelli
TTBB
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Una toscana
arm. Claudio Malcapi
TTBB
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Una emiliana
arm. Paolo Bon
TTBB
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Un'altra emiliana
arm. Giorgio Vacchi
TTBB
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una veneta
arm. Gianni Malatesta
TTBB
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un'altra veneta
arm. Loris Tiozzo
TTBB
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e da uno spunto popolare...
arm. Paolo Bon
Canone a 3 voci
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Bondì bongiorno

(Nigra 78)
Bondì bongiorno
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Bondì bongiorno mia bella signora
bondì bongiorno che sia ben dà
la vostra figlia dov'é l'ì mandà?

La mia figlia è andata sui monti
'ndata sui monti e sugli alberi alpin
a pascolare i suoi bei pecorin.

O che giudizio di babbo e di mamma
aver la figlia così a lontan
gente che passa le chiede la man.

La mia figlia è brava e onesta
brava e onesta nel suo parlar
gente che passa la lasiano star.

Trott'e galoppa cavallo grigione
mentre galoppa si léva il capél.
Non mi conosi? Son tuo fratèl.
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...Un giovane che arriva a casa da un viaggio, o dalla guerra, chiede notizie della sorella che non vede. Gli si risponde che pascola le pecore per le valli (che serve come spaliera, nella lezione veneziana). — Un bel giudizio di padre e madre, egli dice ai parenti, di lasciar cosí lontano una ragazza sola! Sarà rapita. — Ma gli è risposto che la ragazza è savia e accorta e che non si lascerà rapire. Egli scommette che la rapirà. Monta a cavallo, va a trovar la sorella e si mette a tentarla offrendole un anello, un paio di scarpette bianche, un cappellino, e anche denaro. La bella rifiuta tutto, e si ricusa di andare col giovane all'ombra. Allora il fratello si scopre e si nomina. Ed essa gli dice (e così termina la canzone) che non ha la figura d'un fratello, ma d'un traditore che è venuto per tentarla e per tradire l'amore.
Da "Canti popolari del Piemonte" - Costantino Nigra - Einaudi
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Partiture:
Una armonizzazione per coro a voci maschili
arm. Gianni Malatesta
TTBB
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un'altra sempre per voci maschili
arm. Renato Dionisi
TTBB
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Una versione emiliana armonizzata per voci miste
arm. Giorgio Vacchi
SCTTBB
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e la stessa versione per voci virili
arm. Giorgio Vacchi
TTBB
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C'era una volta il "Canto di montagna"

Pubblico questo articolo che reputo molto interessante

C'era una volta il "Canto di montagna"
di Giorgio Vacchi

Comincia come una favola, questo nostro scritto, perché per molti giovani parlare di "canti di montagna" è come raccontar favole: "si dice che un tempo in Italia tutti i cori cantavano canti di montagna", cosi ho sentito dire da alcuni giovani coristi. Per i più vecchi è un'altra cosa, perché molti l'hanno vissuta l'era del "canto di montagna", e sanno quindi di che si parla; o almeno conoscono alcuni termini della questione. Comunque riprendiamo l'argomento, perché anche fra alcuni "vecchi" c'è tuttora confusione, e inoltre può essere l'occasione buona per dare qualche notizia a chi qualche decennio fa non c'era.
Prima degli anni trenta esistevano, grosso modo, in Italia tre tipi di cori: quelli polifo­nici (non molti) interpreti della polifonia sacra e profana, specie rinascimentale (spesso espressione di qualche "Accademia" o società musicale); quelli di tipo "Orfeonico" (ereditati dalla cultura francese), con repertorio più vario, ma principal­mente legati alle pagine corali dei melodrammi (presenti nelle maggiori città); poi quelli nati per fornire un "servizio" nelle chiese, interpreti naturalmente di musiche sacre dal rinascimento in poi (operanti in numerosissime chiese, e non solo nelle cattedrali).
In tutti e tre i tipi di coro, prima ricordati, aveva un peso rilevante la figura del Maestro: lui infatti doveva leggere e conoscere la "partitura" per poterla poi insegna­re ai coristi, quindi passava alla successiva operazione di "concertazione" e, in seguito, di direzione. Non si dimentichi, inoltre, che sovente le esecuzioni dei cori citati prevedevano l'uso di strumenti di accompagnamento (i più usati, naturalmente, erano il pianoforte e l'organo) il che comportava la presenza di professionisti o comunque di esperti: i Maestri, appunto.Dobbiamo aspettare l'anno 1926 per vedere nascere una nuova tipologia di coro: con la S.A.T. di Trento inizia la sua carriera il coro a voci virili d'ispirazione popolare, il "Coro di montagna". Queste le sue caratteristiche: una dozzina di elementi maschi­li, poca (o nulla) la competenza musicale ( però buona voce, buon orecchio e buon gusto), conoscenza di melodie popolari della zona trentina, abilità nell'improvvisare almeno due "voci" sotto la melodia (quasi sempre la "terza" sotto il tema, un basso con le note fondamentali dei tre o quattro accordi usati e inoltre, più raramente, una quarta voce che riempia gli eventuali vuoti). A questo si aggiunge la ricerca della massima fusione timbrica (la vocalità è quella un po' cupa che meglio amalgama le voci, con le note acute cantate "di testa", e senza eccessiva escursione dinamica). Era, fondamentalmente, la maniera di cantare usata spontaneamente dalla gente delle valli trentine. Se a questo si aggiunge che i primi componenti della SAT erano fanatici della montagna, è facile capire perché si parlò subito di "canti di montagna". Queste le caratteristiche del coro della SAT alla nascita e nei primissimi anni di vita: ma fu l'apporto di un musicista (anche se dilettante) che permise, negli anni succes­sivi, la grande diffusione di questo tipo di coralità: parliamo di Luigi Pigarelli, di pro­fessione magistrato ma buon musicista, che iniziò la elaborazione corale (o armoniz­zazione, come sempre più spesso venne chiamata) di innumerevoli melodie secon­do i suggerimenti impliciti in quelle spontanee scelte fatte dal primo gruppo di coristi SAT. Quella linearità nella stesura delle parti divenne la prassi prevalente nella ricer­ca armonica ed espressiva degli anni futuri, confermata ulteriormente dalle elabora­zioni di Antonio Pedrotti, (altro armonizzatore per il coro della SAT nei primi anni) coerenti alle linee-guida di Pigarelli.
Nel 1935 viene pubblicata una raccolta che contiene i primi "canti di montagna" del coro trentino e presto seguiranno le incisioni discografiche; ma la guerra che sta per abbattersi sull'Europa congelerà questa ascesa corale per alcuni anni. Nell'immedia­to dopoguerra, con la voglia di nuovo che soffia sul nostro paese, rinasce anche il desiderio di musica, in particolare di quella di gruppo: moltissimi giovani (specie dell'area cattolica) scoprono la "montagna" e il "canto di montagna", con i suoi conte­nuti "morali" legati alla natura, alla semplicità della vita, al rispetto del creato, alla solidarietà. E scoprono che la nuova maniera di "far musica" non è difficile: bastano pochi giovani di buona volontà (solo uomini, però: per le donne è ancora difficile uscire di casa la sera per dedicarsi ad un hobby), uno che sappia leggere un po' le note (basta pochissimo) e che insegni le "parti" cantandole dieci, cento volte, finché tutti le abbiano imparate. Il resto, cioè l'interpretazione, lo si otterrà col semplice metodo di imitare il modello con la maggiore fedeltà possibile: per questo le prime edizioni discografiche della SAT diventeranno preziose.
Così, in tutta Italia, scoppia il "boom" dei "canti di montagna": i gruppi nascono come funghi, quasi tutti hanno al massimo trenta elementi, spesso molto meno (i più vec­chi ricorderanno il "Sestetto Penna Nera" di Roma che ascoltavamo alla radio negli anni cinquanta) e tutti a cantare le stesse cose, e alla stessa maniera. Salvo qualche eccezione; e proprio grazie a queste, ecco le prime discussioni, i primi dubbi su que­sti "canti di montagna". Inoltre alcuni di noi avevano iniziato ad interessarsi di cultura popolare, quindi anche di canto popolare: qualcuno poi, avendo cominciato a ricer­care e raccogliere i canti della propria zona, era già in grado di fare raffronti e scopri­re analogie e differenze. Così appariva sempre più evidente che in ogni regione, pur incontrando filoni che attraversavano aree molto più vaste, mutavano le caratteristi­che dei canti; diversa la vocalità con cui venivano espressi, con la presenza o meno di melismi e abbellimenti, e con diverse propensioni nel privilegiare certe scelte armoniche (quando si trattava di espressioni corali) piuttosto che altre.Ecco perché ci sembrò limitante la scelta generalizzata della metodologia "SAT" applicata sempre e dovunque: mi spiego. Nel volume guida della SAT "Canti della montagna" scoprivamo esserci canti piemontesi, valdostani, lombardi, laziali ecc., tutti proposti con le medesime caratteristiche melodiche e armoniche; dai dischi inol­tre ascoltavamo le stesse scelte timbriche e vocali per canti che, cosl diversi fra loro proprio perché provenienti da mondi molto lontani e diversificati, avrebbero invece dovuto farci apprezzare espressività diverse a seconda dei luoghi d'origine. Era così cominciato il grande equivoco, per cui moltissimi furono portati a convincersi che "tutti" quei canti erano canti "di montagna" e andavano cantati alla stessa maniera.
In maniera non molto dissimile vedemmo crescere la confusione fra "canti alpini" (provenienti da diversi luoghi delle Alpi) e "canti degli alpini" (quelli cioè tratti dal repertorio dei diversi battaglioni di alpini, classificabili piuttosto come canti "militare­schi", spesso derivati anch'essi da temi popolari di varie zone e consolidati in una certa forma dall'uso prolungato fatto dalle "penne nere"). Anche per questi ci fu la tendenza ad uniformarli e catalogarli tutti assieme sotto il titolo di "canti degli alpini", indicendo perfino convegni in difesa "del vero canto alpino" (leggi "degli alpini"), con la presenza di personalità che pretendevano di dettare regole e dare patenti di autenticità all'uno o all'altro canto.
Si giunge cosi al "Primo simposio sul canto popolare" (Cortina d'Ampezzo - 1970) in cui alcuni di noi s'impegnarono a discutere e, se possibile, cominciare a chiarire i molti aspetti che riguardavano la coralità amatoriale. Non ultimo quello di cui stiamo trattando: se cioè parlare di "canti di montagna" aveva senso o invece, più semplice­mente, risultava una dizione di comodo. Già allora si prese in considerazione il repertorio della SAT per vedere se era vero che i canti che lo componevano erano canti di "montagna"; risultò così chiaramente che ben pochi meritavano tale titolo e che, anche quando potevano avere in comune un luogo d'origine di rilevante altitudi­ne (perché questo vuol dire "canto di montagna") troppi erano gli ulteriori motivi di differenziazione. Provate a pensare alle montagne del nostro paese e immaginate le differenze che ne accompagnano lo sviluppo: da ovest ad est e, seguendo la dorsa­le appenninica, da nord a sud. Troppo poco l'elemento "altezza" perchè possano essere accomunati sotto questo titolo. Ben altri i motivi (storici, culturali, ecc.) che possono unire o dividere le tradizioni popolari e, quindi, anche i canti di aree diverse.Apparve quindi evidente che ciò che univa i canti del repertorio SAT erano due ele­menti estranei ai canti stessi: il primo è la scelta della struttura corale e il secondo la metodologia (leggi "semplicità") nella elaborazione dei canti. Col primo si privilegiava la scelta delle voci maschili (le più facili da reperire e da organizzare), col secondo si permetteva l'accesso alla lettura e all'esecuzione delle partiture a chiunque, pur se sprovvisto di particolare abilità e competenza. Queste le vere ragioni che resero possibile la straordinaria diffusione di questo tipo di coralità; e da ciò deriva il suo grande merito: far sì che migliaia di giovani potessero avvicinarsi alla musica in senso positivo, cioè cantando, e al repertorio di derivazione popolare (anche se sapendo solo confusamente ciò che voleva dire "popolare").
Ma dietro questo indiscusso merito crebbe anche quella, altrettanto indiscutibile, generalizzazione del cantare secondo il modello SAT che mortificò, di fatto, le espressività diverse: chiariamo meglio. Cantare in quel modo risultò sì gratificante ma, nel contempo, anche così "esclusivo" e "vincolante" che, all'orecchio dei più, nessun'altra soluzione appariva accettabile. Così chi allora cercava di sperimentare vocalità, colori, espressioni diverse, perché testimoni di diverse realtà locali e cultu­rali, venne considerato "deviante" dalla retta via e quindi il suo lavoro fu sovente stroncato. La stessa dizione "coro d'ispirazione popolare", che ad alcuni di noi pare­va più esatta, venne criticata: ad un concorso mi venne detto, da un componente la giuria: "Ma smettila ! Il tuo è un coro di montagna come tutti gli altri !" Pensate cosa sarebbe avvenuto se, da altre parti, si fosse realizzato quello che aveva fatto la SAT, cioè l'aver creato una "coralità" aderente al canto popolare trentino. Avremmo avuto, in ogni regione, una ricerca delle caratteristiche del proprio modo di cantare che avrebbe fatto nascere e sviluppare una serie ricchissima di esperienze corali diver­se, ciascuna con proprie caratteristiche e originalità, invece della "massificazione" a cui si era giunti, per almeno tre decenni, a causa dell'equivoco sul "canto di monta­gna".
Alla confusione contribuirono inoltre, negli anni seguenti, numerose pubblicazioni che raccoglievano le armonizzazioni di canti popolari di cori noti, tutte con titoli che imitavano quello della SAT ("Canti della montagna"). Eccone alcuni: "Canti dalle Dolomiti", "Come canta la montagna", "Su in montagna" ecc. (alcuni anche pregevo­li, ma con la montagna avevano a che fare solo marginalmente.)
Solo negli anni ottanta, in definitiva, si giunse ad un chiarimento abbastanza genera­lizzato di tutto il problema: in alcune regioni, anche grazie alla ricerca sul campo del canto popolare locale che si andava diffondendo, e che metteva gli "addetti ai lavori" di fronte al riconoscimento delle differenti vocalità proprie di ciascuna area, si anda­rono creando gruppi corali nuovi (e vecchi cori si modificarono) che facevano tesoro di queste diversità, cercando e sperimentando su soluzioni vocali (e corali) originali.
E anche alcuni musicisti, nell'elaborare i temi popolari per coro, si sforzarono di stu­diare e approfondire queste caratteristiche originali, al fine di allargare la gamma di espressività delle armonizzazioni: si cominciava, insomma, a tener conto della inter­dipendenza tra i suggerimenti impliciti nei temi popolari (sia in ordine alla melodia che ai contenuti) e gli elementi che vanno a costituire la elaborazione corale: ciò che solo episodicamente si era visto in precedenza.
Acqua passata ? Penso proprio di sI. Ma certe formule sono dure a morire, visto che non è poi così raro sentirmi dire, incontrando qualcuno: "Che voglia di sentire un po' dei tuoi canti di montagna !"


Dalla rivista quadrimestrale dell'AERCO "Farcoro" - Uno 94
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mercoledì 4 aprile 2007

Addio addio

Addio Addio
Nebbi' a la valle e nebbi' a la muntagne,
ne la campagne nen ce sta nesciune.
Addije, addije amore
casch' e se coje
la live e casch' a l'albere li foje.



Casche la live e casche la ginestre,
casche la live e li frunne ginestre.
Addije, addije amore
casch' e se coje
la live e casch' a l'albere li foie

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Canto delle raccoglitrici d'olive, stupendo per intensità poetica, ricco di analogie suggestive. È ancora oggi cantato nella piana dell'Ortonese, sotto la Maiella. Da ricordare l'incisione di Giovanna Marini e Maria Teresa Bulciolu nel 33/17 I canti del lavoro 3, cit., e nel LP, cit., Le canzoni di «Bella ciao». Discreta anche l'esecuzione di Anna Casalino nel LP Folkitalia, cit., e nel LP "Sebben che siamo donne", anche cit. Ho tratto il testo dall'opuscolo Bella ciao, cit.Traduzione. «Nebbia alla valle e nebbia alla montagna, nella campagna non c'è più nessuno. Addio, addio amore: casca e si raccoglie l'oliva e cascano dall'albero le foglie. Casca l'oliva e casca la ginestra, casca l'oliva e le foglie di ginestra. Addio, addio amore: casca e si raccoglie l'oliva e cascano dall'albero le foglie.

Da "I canti popolari italiani" Giuseppe Vettori - Newton 1975
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Partiture:
Un'armonizzazione per coro misto
arm. E.Vetuschi
SCTB
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arm. Giorgio Vacchi
TTBB
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arm. Giorgio Vacchi
SCTB
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arm. Andrea Caselli
TTBB

Addio addio
arm. Andrea Caselli
SCTB
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martedì 3 aprile 2007

Donna lombarda

(Nigra 1)

Donna lombarda

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Dona lombarda dona lombarda
se vuoi venire a cenar con me
dona lombarda dona lombarda
se vuoi venire a cenar con me

-
Mi venireva ben volentieri
ma l'ò paura dello mio mari
-
Tuo marito fallo morire
fallo morire che t'insegnerò
-
Va me l'orto de lu tuo padre
prendi la lingua dello serpentin
-
Prendi la lingua del serpentino
butala dentro ne lu buon vin
-
E alla sera riva 'l marito
o moglie mia pòrtami da ber
-
Tu lo vuoi bianco tu lo vuoi nero
pòrtalo pure come piace a te
-
O moglie mia come la vale
che questo vino l'è intorbolì
-
Sarà la pompa dell'altro ieri
e che l'à fatto ma intorbolì
-
Ma un bambino di pochi mesi
che apena apena cominciò a parlar
-
O padre mio non lo sta a bere
che questo vino l'è avvelenà
-
E all'onore di questa spada
o moglie mia bévilo tue
all'onore di questa spada
donna lombarda devi morir.

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Donna lombarda è la più famosa delle ballate italiane e quella che
più ha stimolato le esercitazioni filologiche dei folkloristi,
all'inseguimento della sua origine e al riconoscimento dei suoi
personaggi. Fu Costantino Nigra, con un saggio giustamente famoso,
ad aprire il dibattito su questa canzone avanzando l'ipotesi che
sia da vedersi, nell'avvelenatrice "donna lombarda" la longobarda
Rosmunda. Questa ipotesi è forse più geniale e audace che
attendibile perché il fatto che Donna lombarda racconta è un fatto
esemplare e per nulla specifico, che potrebbe trovare riferimenti
di cronaca, in ogni tempo.Da vari segni, sia nei testi che nelle musiche, Donna lombarda non
sembra essere ballata molto antica e non è improbabile che la sua
origine sia italiana. A differenza di tante altre ballate che a noi
vennero certo dalla Francia o da altri paesi europei, questa non
sembra avere fuori del nostro paese che sporadica presenza.


Da Roberto Leydi - I Canti Popolari Italiani - Mondadori

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Partiture:

Questa è una versione emiliana armonizzata per coro a voci miste

arm. Giorgio Vacchi
SCTTBB

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la stessa versione per coro a voci virili

arm. Giorgio Vacchi
TTBB


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Ed una toscana sempre per coro maschile

arm. C. Malcapi
TTBB
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domenica 1 aprile 2007

Senti le rane che cantano



Senti le rane che cantano

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Senti le rane che cantano
che gusto che piacere
lasciare la risaia
tornare al mio paese
lasciare la risaia
tornare al mio paese

Amore mio non piangere
se me ne vado via,
io lascio la risaia
ritorno a casa mia

Non sarà più la capa
che sveglia a la mattina
ma là nella casetta
mi sveglia la mammina

Vedo laggiù tra gli alberi
la bianca mia casetta
vedo laggiù sull'uscio
la mamma che mi aspetta

Mamma papà non piangere
non sono più mondina
son ritornata a casa
a far la contadina

Mamma papà non piangere
se sono consumata
è stata la risaia
che mi ha rovinata

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La più conosciuta delle canzoni delle mondariso della Pianura padana.

Da R. Leydi - I canti popolari italiani
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Partiture:

Ecco una armonizzazione per coro femminile

arm. Giorgio Vacchi
SSC

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ed una per coro misto

arm. T. Zardini
SCTB
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Gli scariolanti



Gli scariolanti

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A mezzanotte in punto
si sente un gran rumor
sono gli scariolantilerì lerà
che vengono al lavor

Volta rivolta
e torna a rivoltar
noi siam gli scariolanti
lerì lerà
che vanno a lavorar

A mezzanotte in punto
si sente una tromba suonar
sono gli scariolanti
lerì lerà
che vanno a lavorar

Volta rivolta
e torna a rivoltar
noi siam gli scariolanti
lerì lerà
che vanno a lavorar

Gli scariolanti belli
son tutti ingannator
che i à ingané la bionda
lerì lerà
per un bacin d'amor

Volta rivolta
e torna a rivoltar
noi siam gli scariolanti
lerì lerà
che vanno a lavorar.

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Canzone nata dopo il 1880 fra i braccianti addetti ai lavori di bonifica della zona costiera della Romagna e della provincia di Ferrara. L'arruolamento dei braccianti avveniva a scadenza settimanale, con questo rituale: a mezzanotte della domenica il "caporale" suonava un corno, dando così il segnale di inizio di una specie di "corsa al lavoro". Gli interessati, armati di carriola ("scariolanti"), si recavano presso una località precedentemente designata, là dove i primi arrivati ottenevano di essere assunti; gli altri restavano disoccupati per tutta la settimana.

(da "I canti popolari italiani" Giuseppe Vettori -Newton-)

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una armonizzazione per coro a voci virili

arm. Teo Usuelli
TTBB
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Cominciamo!

Il nostro desiderio, come quello di molti altri cori popolari (almeno speriamo), è principalmente quello di arricchire il repertorio con nuovi canti e ritenendo internet una fonte inesauribile di….. tutto, ci siamo inoltrati in rete.Navigando ci siamo presto arresi all’evidenza: per i cori popolari italiani (non poliglotti) le partiture sono quasi inesistenti!!!!! Allora che fare????? E’ nata così questa piccola idea di creare una bacheca virtuale dove poterci scambiare le partiture come fossimo in un salottino di casa nostra.
E’ evidente la nostra speranza che questa iniziativa venga accolta con simpatia dai cori popolari italiani e anche dagli stessi armonizzatori dei canti (se io fossi un armonizzatore di Milano avrei piacere se la mia elaborazione fosse eseguita da un coro siciliano!!!! E viceversa, naturalmente!!!!!).
Tuttavia, se qualche autore ritiene che questa bacheca possa in qualche modo danneggiarlo, può comunicarlo tranquillamente al webmaster che provvederà prontamente a rimuovere le sue elaborazioni.
Ahhhhhh, piccola dimenticanza: noi non ci guadagniamo assolutamente niente………in soldoni intendiamo!!!! L’arricchimento culturale è più che sufficiente!!!!
Dunque l'idea è molto semplice: noi cominciamo con "attaccare" qualche partitura in nostro possesso e voi, se vi piace questa iniziativa, ci mandate qualcuna delle vostre tramite e-mail (in qualsiasi formato grafico purchè non superiore ai 300 K - zippate gente, zippate - sarà nostro compito trasformarle in PDF) e noi......le aggiungiamo alle altre.